Un team di ricercatori cinesi ha scoperto una mutazione del coronavirus che ora si sarebbe separato in almeno due ceppi diversi.
È uscito ieri sulla rivista scientifica National Science Review uno studio guidato dal professor Jian Lu e dal dottor Jie Cui su una possibile mutazione del virus cinese.
Il team comprende ricercatori provenienti dall’Università di Pechino, dall’Università di Shangai e dall’Accademia cinese delle Scienze.
La ricerca si è basata sullo studio dei geni di 103 campioni di coronavirus, i quali hanno rivelato una mutazione e la presenza di due distinte forme di virus, denominate L e S.
Hanno identificato con L il virus più aggressivo che, a quanto pare, sarebbe stato il responsabile del 70% dei contagi iniziali. Col tempo però la sua diffusione sarebbe rallentata a causa dei gravi sintomi che hanno portato a un isolamento più tempestivo del contagiato.
Per quanto riguarda invece la mutazione del coronavirus denominata S, sarebbe una forma più leggera che però adesso è più diffusa. Chi ha contratto questo virus presenta sintomi più lievi che non bloccano la quotidianità e quindi neanche la trasmissione.
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Mutazione del coronavirus: prossimi passi e perplessità
Sapere che il virus può mutare potrebbe rendere difficile tracciare e curare i pazienti. Non solo: potrebbero aumentare i casi di reinfezione.
Lo studio è stato effettuato su una piccola quantità di dati e per questo il professor Jian Lu e il dottor Jie Cui hanno aggiunto: «Questi risultati supportano fortemente la necessità urgente di ulteriori studi immediati e completi che combinino dati genomici, dati epidemiologici e registri dei sintomi clinici dei pazienti con malattia coronavirus 2019 (COVID-19)».
Come riportato sul Daily Mail, il dottor Stephen Griffin dell’Università di Leeds non sembra convinto dei risultati ottenuti dai colleghi cinesi sulla mutazione del coronavirus.
Non resta altro che attendere ulteriori ricerche e approfondimenti che confermino o smentiscano lo studio dei ricercatori cinesi.