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Trapianto di organi, in Cina è più facile trovarli: ecco da dove li prendono

Il Governo comunista cinese è accusato di aver usato prigionieri giustiziati per il trapianto di organi.

Il China Tribunal ha stabilito che il regime comunista cinese è colpevole di espiantare forzatamente gli organi dai corpi dei prigionieri di coscienza e dei condannati per reati di opinione.

Il processo è durato diversi mesi e sono state fornite molte prove, surrogate da diverse testimonianze: la sentenza è del 17 giugno scorso.

Ma cerchiamo di capire di cosa stiamo parlando. Nel 1984 il Governo cinese ha approvato una norma che consente la rimozione di organi da criminali giustiziati.

Tale norma prevede che il tutto avvenga previo consenso del prigioniero o nel caso in cui nessuno ne rivendichi il corpo.

In tutto il mondo esistono regole molto ferree per il trapianto e devono sussistere una serie di circostanze favorevoli, sia da un punto di vista burocratico che pratico, tra le quali trovare un donatore compatibile.

Ebbene in Cina i tempi di attesa per ottenere organi vitali sono tra i più brevi al mondo: poche settimane per un rene, un fegato o un cuore.

Nel 2003 si sono registrati 13.000 trapianti di organi e 20.000 nel 2006. Viene spontaneo chiedersi se per arrivare a un numero così elevato esistano altrettanti donatori d’organi… la risposta è: no.

Prigionieri usati per il trapianto di organi

Tra il 2003 e il 2009 le persone che hanno scelto di donare gli organi erano appena 130. La situazione era talmente drammatica che nel 2010 la Croce Rossa cinese ha lanciato un’iniziativa a livello nazionale per attrarre donatori di organi volontari.

Sapete in quanti si sono registrati? 37. Ecco perché la maggior parte degli organi usati nei trapianti provengono da prigionieri.

Il vice Ministro della Salute cinese Huang Jiefu, ha riconosciuto che fino al 95% degli organi trapiantati proveniva da prigionieri giustiziati: era il 2005.

La stessa tesi venne riconfermata nel 2008 e nel 2010 in cui oltre il 90% dei trapianti di organi da donatori provenivano da detenuti.

L’opportunità di poter accedere in tempi brevi a un trapianto ha reso la Cina una delle destinazioni principali per questo tipo di operazione; parliamo di un’importante fonte di reddito per strutture mediche, militari e di pubblica sicurezza cinesi.

Dagli anni novanta però, alcuni medici, legati a organizzazioni per i diritti umani, hanno denunciato forti preoccupazioni sui trapianti in Cina principalmente per corruzione e possibili abusi derivanti da un consenso forzato.

La testimonianza del 2001

Fece particolarmente scalpore la testimonianza di un medico militare cinese davanti al Congresso degli Stati Uniti nel 2001 quando raccontò di aver partecipato a centinaia di operazioni per estrarre organi dai prigionieri giustiziati, alcuni dei quali erano ancora vivi.

Le vittime dell’espianto forzato di organi sono in maggioranza persone che appartengono a realtà religiose ed etniche di minoranza.

È il caso del Falun Gong, movimento religioso cinese fondato nel 1992 e bandito nel 1999. Ma anche di Cristiani e Musulmani.

Il Governo cinese ha negato che i praticanti del Falun Gong siano stati uccisi per i loro organi, sostenendo di aderire agli standard dell’Organizzazione mondiale della sanità. Insomma, Pechino nega ma le prove sono più che evidenti.

Secondo quanto riportato dal sito La nuova bussola quotidiana, “la Cina ha ammesso per la prima volta il prelievo di organi da prigionieri condannati a morte nel 2005. Dieci anni dopo ha annunciato che non avrebbe più utilizzato organi di prigionieri dopo il 2015″.

Di fatto il Governo non ha mai presentato controprove alle accuse citate dai ricercatori, né ha saputo dare valide spiegazioni sulla fonte degli organi per i trapianti.

Una vicenda terribile e della quale ogni singolo Paese dovrebbe farsene carico e prendere seri provvedimenti in politica estera.