Sindrome del topo: come si cambia la percezione dell’ineluttabile? [Continua dalla parte 1]
L’apparato che gestisce l’emergenza del Covid 19 sfrutta la sindrome del topo, ovverosia la convinzione che il nostro stato di schiavitù sia ineluttabile, per diffondere così la falsa convinzione che questa emergenza sanitaria sia stata causata dalla sfortuna e che dobbiamo rinunciare alla nostra libertà e alla nostra vita e che altre sfortune dovranno arrivare perché questa è la condizione umana.
Negli ultimi tempi abbiamo assistito all’applicazione di questo esperimento sostituendo alle scosse elettriche i Decreti del Presidente del Consiglio. Nei giorni precedenti la firma di questi decreti, la prima scossa è stata data dai media che hanno creato allarme paventando chiusure e lockdown.
Quando la presidenza del Consiglio alla presentazione del decreto ha optato per una politica più soft di quella prevista dai giornali, le nuove restrizioni sono state accolte con un sospiro di sollievo. E la popolazione ha abbracciato con entusiasmo il fatto che il Presidente del Consiglio, con questo decreto, ha di fatto sospeso il diritto di assemblea previsto dall’articolo 17 della Costituzione.
Ovviamente il presupposto fondamentale affinché la strategia dell’impotenza appresa funzioni è che i destinatari di questi provvedimenti considerino questa imposizione esterna come normale e senza metterla in discussione. Per potere condurre in porto una simile operazione senza rischio di opposizione è necessario che l’essere umano, al quale questa imposizione è destinata, sia un soggetto inconsapevole riguardo la condizione umana, cioè che non abbia consapevolezza della libertà come la naturale condizione dell’esistenza.
Il problema dell’essere umano sin dalla notte dei tempi è sempre stato quello dell’identità. L’uomo non sa chi è ed è per questo motivo che gli si può fare di tutto.Tu prendi un essere umano del pianeta terra nel 2020 e gli dici che deve avere paura del Covid e quello ha paura. Com’è possibile che accada questo?
Questo accade perché l’uomo che abita questo pianeta, ancora oggi ha bisogno della pubblicità per sapere come deve vestirsi, ha bisogno della televisione per sapere che cosa succede, ha bisogno di un “intellettuale” che gli dica cosa pensare e di un leader politico che lo guidi e gli dica cosa deve fare.
L’uomo sin dall’alba della nostra civiltà ha sempre delegato ad altri le proprie responsabilità ed è per questo motivo che nel corso della storia sono nate e cresciute le dittature e che ci troviamo oggi in questa situazione imbarazzante. Perciò, presupposto fondamentale del desiderio di libertà, è la consapevolezza riguardo la propria condizione naturale di libertà assoluta e totale.
Il sistema si approfitta di questo stato di inconsapevolezza ed utilizza l’impotenza appresa per confermare agli uomini topo non solo che la loro visione è giusta ma nel contempo, per indurre chi ancora non ha questa visione di ineluttabilità del proprio destino a convincersi che lo stato di schiavitù è inevitabile.
Perciò l’autorità costituita, in forza della capacità di poter imporre divieti al cittadino, avvia questo processo di impotenza appresa, imponendo ogni giorno nuove misure restrittive che, la maggioranza dei soggetti, inizierà a percepire e considerare come ineluttabili.
Sindrome del topo: scosse e DPCM
Come negli esperimenti di Seligman, i destinatari dei provvedimenti (le scosse elettriche) inizieranno a considerare come normali tutte le imposizioni: dall’indossare la mascherina, al coprifuoco, al farsi misurare la febbre per accedere ad un qualsiasi esercizio commerciale.
L’essere umano sta sperimentando una serie di limitazioni alla propria libertà senza metterne in discussione la necessità o il loro scopo. Senza nemmeno fermarsi a pensare che queste limitazioni non solo sono lesive della libertà e dannose per la nostra salute ma completamente inutili.
Il problema è che per mettere in discussione questo sistema di misure restrittive è necessaria la presenza di un’autonomia di pensiero e di uno spirito che sia libero dal conformismo imperante. E come si può pretendere autonomia di pensiero da una società fatta di uomini che hanno bisogno della televisione per sapere cosa pensare, cosa dire, come vestirsi e cosa fare?
Cambiare la percezione della propria condizione di sofferenza necessita un cambio di prospettiva. Tuttavia il cambiamento di prospettiva, oltre a presupporre una visione ottimistica, una fiducia in se stessi e nella vita stessa, presuppone la dote del coraggio che in latino cor-agio si traduce come “azione del cuore”.
Ma l’uomo topo ha rinunciato ad aprire il suo cuore, abbracciando la visione pessimistica dell’impotenza, ha scelto di nutrire solo il suo stato di sofferenza. Si crea così un circolo vizioso: L’impotenza appresa lo porta a vedere l’intero Universo come ingiusto e questa dispercezione alimenta il suo egoismo e la sua chiusura nei confronti degli altri.
Chi è affetto dalla sindrome del topo è di solito un individuo risentito, perché convinto di stare subendo un’ingiustizia. Perciò, se si vive in un tale stato mentale, qualsiasi altra emozione ci è preclusa perché si diventa schiavi di questa falsa rappresentazione e siccome il mondo è ingiusto con l’uomo topo, questi si sente autorizzato a pensare e ad agire in modo ingiusto nei confronti del mondo.
L’uomo topo sfrutta la rappresentazione mentale dell’ingiustizia per perpetuare non solo la propria condizione di schiavo ma anche per godere della sofferenza altrui. Quando l’uomo topo si confronta con chiunque non soffra della sua stessa condizione, vede la propria situazione come peggiore rispetto a quella altrui e quindi ingiusta.
Chi soffre della sindrome del topo è convinto che la sua condizione non possa mutare, perciò lo stato di benessere altrui diventa anche questo ingiusto ai suoi occhi. Allora per dare una spiegazione a questo stato di ineguaglianza, o se preferite di ingiustizia, egli attribuisce l’altrui condizione di benessere a cause esterne e a lui inaccessibili. Ad esempio la fortuna o altre qualità innate, interpretando l’altrui leggerezza e libertà mentale come menefreghismo o superficialità e ingenerando così in se stesso uno stato di malessere e di risentimento crescente nei confronti di chi vive una condizione di benessere e perciò ama la propria libertà.
L’uomo topo prova risentimento perché la sofferenza mentale in cui è costretto a vivere è percepita come condizione personale e solitaria e non è condivisibile per sua natura con nessun altro, perché è proprio il confronto con la situazione dell’altro che fa nascere il risentimento.
Quindi il primo elemento in comune tra queste persone e i topi di fogna è proprio l’habitat in cui entrambi vivono, che nel caso del topo sono le fogne mentre nell’uomo topo è la sua mente. La mente dell’uomo topo può essere paragonata ad una fogna perché, come in una fogna, i pensieri di questi individui nuotano nell’impotenza appresa, in cui amano crogiolarsi, preferendo provare risentimento e invidia per gli altri piuttosto che cambiare il loro stato mentale fognario.
Il secondo elemento che identifica questi soggetti, oltre al fatto di essere convinti di subire un’ingiustizia, è la Schadenfreude, un’espressione in lingua tedesca che può essere tradotta in italiano come “godere delle disgrazie altrui”. [Continua]